Giovane artista, pittore: ha fatto tutto da se.

Il percorso, in salita, del cammino dell’arte l’ha iniziato da bambino, disegnando spontaneamente, con continuità, guardando il creato con spirito sognante.
Istintivamente ha cercato di imparare e di capire quelle nozioni riguardanti le tecniche più note nell’esercizio della pittura. Particolare attenzione ha rivolto allo studio della figura, controllando i canoni e l’equilibrio anatomico, già espressi dal genio degli antichi scultori greci dell’età di Pericle.
Ha ascoltato, quando gli si è presentato l’occasione, la saggia parola di qualche serio e preparato interprete delle vicende dell’arte di tutti i tempi. Ha studiato sui libri della storia dell’arte e sulle monografie degli artisti celebri.
Ha visitato, quando ha potuto, i grandi musei dell’arte di Bari, Roma, Firenze, Napoli, Milano, Basilea, Monaco, Francoforte e Berlino, per capire ciò che hanno detto i protagonisti della pittura, nelle epoche passate.
Ha guardato e studiato le culture ottocentesche e del primo novecento, cercando di entrare nello spirito e nel carattere delle varie correnti: Macchiaioli, Scapigliatura, Rivara, Venezia, Posillipo, Resina o Portici.
Queste fonti di conoscenza hanno contribuito a maturare in lui il carattere, un modo di esprimersi, uno stile.
Nei suoi dipinti si rileva un attento controllo nella sintassi compositiva, buona esecuzione ed equilibrio cromatico. Le sue opere attuali fanno parte di un ciclo iniziato un paio di anni fa; rilevano una singolare simbiosi, che emerge da un buon accostamento fra una zona figurativa classica con un’altra chiaramente surreale. Il discorso filologico è coerente e corretto, sostenuto da una forte carica creativa.
Il giovane Vito Antonio percorre una strada giusta, ricca di ispirazioni e orientamenti interessanti, che lo condurrà verso orizzonti che, sicuramente illumineranno il suo ingegno e la sua creatività.

Leonardo De Pinto

“Si, dipingo da sempre”.

Così risponde seraticamente Vito Antonio Muscatelli a chi vuole indagare sul suo passato.
E cosi risponde anche a noi quando gli chiediamo lumi sull’origine del suo amore per la pittura. E, con altrettanta franchezza, precisa che i suoi primi ammiratori furono i missionari clarettiani, di origine spagnola, che derivano il loro nome da Sant’Antonio Maria Claret.
E proprio nelI’lstituto di Putignano, retto dagli ispano missionari, il pittore in erba si fece notare per il suo non comune estro creativo che lo portava a dipingere i volti di Madonne e Santi del Cinquecento, prendendo spunto dai capolavori rinascimentali disseminati qua e le sulle pareti di quel severo collegio.
Ma lui, il piccolo Vito, ci aggiungeva del suo: a ravvivare quei volti entravano in gioco i colori di sapore mediterraneo della sua personalissima tavolozza, colori che riuscivano a dare quel valore aggiunto, rafforzato da una teoria di paffuti e rubicondi puttini che rendevano più lieta e intrigante la sacra rappresentazione.
Che, in definitiva, conguistava le simpatie dei clarettiani tutti. Ai quali si aggiungevano poi le grida di visibilio di coloro che avevano la ventura di ammirare quei dipinti.
A quel tempo Vito Antonio frequentava la prima media, cioè aveva poco più di undici anni, I genitori erano emigrati in Germania per motivi di lavoro e avevano parcheggiato in collegio il loro pargolo. Che ben presto li raggiunse a Francoforte, dove, tra le brume teutoniche, il piccolo Tonio, come lo chiamavano gli amici, stendeva sulla tela l’accattivante gamma coloristica, tipica della sua solatia terra, insieme con le “nuances” del Mare Nostrum.
Gli stessi colori e le stesse “nuances” ritroviamo oggi nei tanti dipinti disseminati nel suo studio, in via Cesare Cantù 15, a Palo del Colle, dipinti nei quali, accanto alla figurazione di stampo leonardesco, si colgono i reiterali affondi informali e astratti, frutto di quella stimolante ricerca grazie alla quale il Nostro dopo aver felicemente debuttato nella sua prima mostra nella Pro Loco di Palo del Colle, punta a percorrere nuovi e inediti sentieri nel mondo dell’Arte.
E non mancano certi seducenti “omaggi” a questo o quel pittore del passato. Tra gli altri, accanto ad un angelo ispirato da Leonardo, ci sono taluni ‘divertissement’ dedicati a Tamara de Lempicka, la maliarda pittrice polacca che fece perdere la testa al D’Annunzio durante una sua visita al Vittoriale. In particolare, si fanno ammirare i ritratti di Tamara, ora con il marito Tadeusz Lempicki, ora con la figlia “Kizette”;bellissimi anche “Adamo ed Eva” e il ritratto del conte Furstenberg-Herdrinzin.
Ed ora? Ovviamente Vito Antonio non si concede un attimo di tregua. E proseguendo nella sua incessante ricerca ha pensato di unire in… matrimonio l’informaIe con il figurativo di stampo michelangiolesco. Ed ecco, in una mega-tela, l’incontro, in un rigoglioso Eden, tra Venere e Marte. oppure, in una piccola tela, un avvenente corpo di donna ghermito da un satiro in fregola che affonda le sue avìde mani nelle cami vellutate della vittima designata. E ancora: composizioni floreali che fanno da pendant a silenti “nature morte” dall’aura seicentesca che invitano a mordere Il frutto proibito: la mela dl Eva, oppure un cocomero o un melograno.
E lui? Il nostro Muscatelli, a guisa del giocatore di bussolotti di manzoniana memoria, riesce a mescolare così bene le carte da irretirci con le sue sortite senza soluzione di continuità, quasi volesse prendersi gioco della nostra meraviglia al cospetto degli “escamotages” pittorici, cimentandosi in una gamma di colori più tenui, meno squillanti, allo scopo di privilegiare affondi intimisti che danno la stura ai sentimenti più ascosi. E così operando, riesce a sortire un’immagine figurativa di matrice inedita, contemperando forme e simboli con un pizzico dl garbata ironia. Talvolta, da questo mescolio dl carte vien fuori un’enigmatica realtà di vago sapore dechirichiano, in cui il razionale non esita ad andare a braccetto con l’irrazionale.
Comunque, il merito maggiore di Vito Antonio Muscatelli è quello di avvalersi di una tavolozza ammaliante, che punta a fermare il tempo che, purtroppo, scorre inesorabilmente. Di qui le sue chances dai colori vivaci, pastosi e sensuali, corroborate da una singolare tecnica e daII’apporto determinante di una tradizione che affonda le radici nelle tinte mediterranee.
Perche – va riconosciuto con estrema franchezza – che, pur navigando in acque avventurose, il Nostro non dimentica mai il dettato della tradizione classica, anche quando da la stura alla più sbrigliata fantasia creativa. Il suo pacato classicismo fa capolino qua e là, come si evince dalla maggior parte delle opere nelle quali, pur sotto le pieghe della pennellata informale oppure delI’aureo filone delI’espressionismo astratto, fanno capolino accattivanti declinazioni linguistiche, pregne di vibranti tonalità, e talvolta persino monocromatiche, che possono derivare soltanto da quel magistrale Dna che scorre copiosamente nelle sue vene.
Spesso I suol colori, grazie ad una non comune sensibilità, sempre dl matrice mediterranea, sembrano più pacati, più distesi. Vito Antonio, cioè, riesce ad attenuare la violenza dei “fauves”, ossia delle “belve” di Matisse, che, come noto, esasperavano l’uso del colore puro spremendolo direttamente dal tubetto sulla tela, e dando luogo a pennellate dense e vlbranti, materiche, sulla scia della intensa virgolatura di Van Gogh.
Insomma, esalta in maniera esponenziale quella gioia di vivere che fece dire a Matisse: “Tutti i miei rapporti di toni devono formare un accordo vivente di colori, un’armonia analoga a quella di una composizione musicale”. E, in linea con le intuizioni del maestro francese, il pittore di Palo del Colle non esita a dare sfogo alle sue percezioni cromatiche per dare la stura ad una sinfonia di delicate ”nuances”.
L’obiettivo è chiaro, quasi lapalissiano: trascinarci in una vorticosa sarabanda cromatica in cui si corre il rischio di restare senza fiato.

Vinicio Coppola